Anzitutto questa: che non è possibile far riferimento a culture diverse per superare il pensiero occidentale; altri “pensieri” sono appunto altri, cioè diversi e in quanto tali non possono incidere sulle radici stesse del pensiero occidentale che solo in sé può trovare le ragioni per superare se stesso.
Ogni riferimento ad altre culture è certo interessante, e forse può anche contribuire a rimettere in discussione gli elementi di fondo del nostro pensiero, ma solo calandosi nelle profondità magari implicite nella nostra cultura si può, se del caso, ridiscuterle e rimuoverle, senza peraltro rinnegarne la forza e la funzione teoretica. (Questa è, del resto, anzitutto la lezione di Nietzsche fra il dionisiaco e l’apollineo. Molto diversa, ad esempio, di quella di Schopenhauer del “Velo di Maja”)
La seconda considerazione intende ricollegare le argomentazioni di Cacciari (cultura occidentale-culture altre; la persona-l’altro; ecc) alla dialettica hegeliana: Cacciari reinterpreta su registri attuali (e mi riferisco sia all’ovvia esigenza di proporre tematiche di oggi, sia alla più filosofica istanza “attualistica”) il tema dei “contrari” di Hegel, proponendone una sintesi continuamente aperta e del tutto dinamica (come appunto accade nella lettura gentiliana di Hegel: Gentile, un altro filosofo da “sdoganare”!). Aggiungo che, dal mio punto di vista, questa affermazione è quanto di più elogiativo si possa dire a proposito di un intellettuale che, pur con accenni critici, peraltro permane all’interno dei parametri logici occidentali.
Continuo poi a pensare che la filosofia abbia bisogno di indicare con chiarezza il proprio ambito di speculazione e che a questo si mantenga, pena dare l’impressione di voler dire di tutto un po’ che è quanto di peggio ci possa essere per un pensiero che si pretende rigoroso (non è il caso della parte più alta del pensiero di Cacciari, anche se le sue frequenti e a volte intemperanti apparizioni televisive possono farlo credere). Per parte mia ritengo che la filosofia debba essere l’espressione della “totalità”: ciò che dice deve essere valido per tutte le cose in ogni tempo e in ogni luogo (e naturalmente la filosofia è anche esprimersi attorno alle particolarità, in quanto su di esse si riverberano le qualificazioni della totalità). Capisco che qualcuno possa dire che ciò è impossibile all’uomo, ma allora proprio questo si deve dire della “totalità”: che è inaccessibile - con la consapevolezza che, dicendo questo, pur sempre della totalità si parla. Certo c’è anche una terza possibilità, quella dello scettico: non so se ci sia qualcosa di unificante per “ tutte le cose”; certo se qualcuno dice questo, allora è meglio, per coerenza, che si scelga un ambito scientifico specifico in cui meglio esercitare la propria intelligenza.
Tornando ai parametri logici occidentali di cui più sopra dicevo, ciò che non si ha (ancora) la forza culturale (e pratica) di superare è appunto il fondamento del pensiero occidentale, cioè quella concezione del “divenire” di tutte le cose (salvo l’Assoluto, diceva la metafisica antica; senza eccezioni dice il pensiero filosofico contemporaneo) che sfocia nel nichilismo dell’essere che non sa star saldo in se stesso. Da qui ogni volontà di dominio, espressa dalla scienza sulle cose, e dall’agire politico sugli uomini, che - basata sulla contraddizione (il nichilismo appunto) - non può che dar luogo e spazio a modi di pensare, e soprattutto di vivere, contraddittori. Nella consapevolezza di questa contraddizione (che per realizzarsi ha comunque bisogno che la contraddizione stessa si esprima fino alle massime conseguenze) sta la ragione che permette di andare “oltre l’occidente”.
Data: 24.06.2013