Data: 22.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: IL FONDO DELLA REALTA’

L’intelligente ed articolata relazione del prof. Franco Gallo al Caffè Filosofico del 9 gennaio 2006 ha offerto molteplici spunti meritevoli di approfondimento – come del resto ha dimostrato il dibattito che ne è seguito. Da parte mia – tralasciando qualche altro tema che pur mi intrigherebbe – sono sollecitato ad approfondire l’ affermazione non sorprendente ma certo provocatoria, secondo cui “far filosofia” potrebbe significare un serio approfondimento di un proprio interesse o di una propria competenza specifica: “dal particolare al generale (universale?)”si potrebbe anche dire, trasformandola in una questione di metodo.

Mi è parsa- soprattutto in riferimento al luogo in cui è stata data- una risposta appropriata.

Mi pare però anche il caso, di andare un poco oltre e di chiedermi:” cosa si trova andando “al fondo”? E le scienze (perché di questo si tratta quando si parla di competenze specifiche) non hanno un “fondo”tale per cui ci si ritrova poi, per così dire, in un’altra dimensione (quella che appunto potremmo chiamare filosofica)? Oppure le scienze – nella loro dimensione progressiva – rimandano ad approfondimenti ed ampliamenti tutti interni al proprio campo specifico di indagine?

Attorno alle risposte che si possono dare a queste domande, stà tutta la questione: solo un problema di metodo o altro? E’ chiaro che le scienze, nella loro progressività (oggi più di ieri e meno di domani), mostrano la possibilità di approfondimenti mai definitivi e con questo rimandano ad una loro dimensione per così dire “progressista”, rivolta al futuro e quindi sono “per i coraggiosi”che non si accontentano di ciò che sappiamo “qui, ora”.

Ma è altrettanto vero che le scienze ci conducono in realtà verso un percorso “senza fondo”; non solo per la loro progressività ( e questo è l’aspetto positivo), ma anche perché non sanno rendere ragione degli elementi ultimi che pur maneggiano e non sanno quindi spiegare appunto la loro ragione “di fondo”, il loro” perché” ultimo.

Certo una risposta facile c’è: basta non chiedersi le ragioni “di fondo” (coraggiosi si, ma perché anche temerari?); o, di più, giustificarla con l’impossibilità “per l’uomo” di sondare abissi inesplorabili dalle sue capacità razionali che si affermano, in modo equivoco, essere limitate. ( dico: in modo equivoco, perchè da un lato ciò è vero – chi oserebbe affermare la capacità dell’uomo di conoscere “tutte le cose”? – dall’altra, pare volersi insinuare una relatività nei confronti della strumentazione “logica” dell’uomo, vincolandola, kantianamente, al suo essere, appunto, umana ).

Ma la logica non si ferma alle analisi linguistiche ed alla correttezza delle procedure; essa pone da sempre l’uomo davanti alle questioni ultime del vero fondo della realtà: la sua dimensione ontologica. La quale può sembrare inutile e tautologica premessa (l’essere è, il non-essere non è), o fonte di ogni equivoco ( e in realtà così è stata, sia pure non inutilmente, all’interno del pensiero occidentale), ma certo non basta l’urgenza interessata della prassi per rimuoverla.

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