"LE IDEE CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO" e "VIVA LA METAFISICA!" - QUADERNO Nº 8 DEL CAFFÈ FILOSOFICO - AUTORI: PIERO CARELLI e TIZIANO GUERINI

11.01.2010 00:00

 

Presentando e commentando la nuova pubblicazione del “caffè filosofico” – “Le idee che hanno cambiato il mondo” di T. Guerini e P. Carelli – Franco Gallo porrà alcuni problemi sulla funzionalità del pensiero filosofico e metafisico rispetto alle idee di sviluppo, accumulazione e utilità sociale del sapere. Con riferimento a quelli che si possono chiamare i "problemi fondamentali della filosofia", quale significato ha l'obiettivo sviluppo storico del pensiero filosofico in termini di chiarificazione e soluzione dei problemi stessi? O questi problemi, non essendo affrontabili e solubili in stessi, producono però, quando vengono indagati, effetti di rinforzo e di stimolo alla scoperta e alla creatività intellettuale al di fuori della filosofia? Ed è proprio vero che la filosofia, e solo la filosofia, affronti "problemi fondamentali"? E come può, se li affronta senza risolverli o intaccarne la portata, essere di giovamento a chi la pratica e alle altre discipline del campo della cultura?

 

Il libro verrà distribuito a tutti i partecipanti all’incontro.

 

Dibattito

Data: 18.06.2013

Autore: Ambrogio Alberti

Oggetto: SEVERINO

Caro Tiziano,

Ho letto con interesse il contributo che hai recentemente pubblicato unitamente a quello di Piero e che mi hai cortesemente fatto pervenire.

L'hai voluto intitolare “Viva la metafisica!”.

Il che mi ha richiamato alla memoria il grido di “Via la Scienza!” che echeggiava nei congressi dell'età positivistica di fine ottocento, quando i cuori di molti in Occidente erano scaldati dall'entusiastica fiducia (francamente eccessiva) nel progresso scientifico.

Eliminato l'eccesso di fiducia, sempre fuori luogo come tutti gli eccessi, rimane che ritieni che la metafisica sia esigenza dello spirito propria dell'uomo.

E su questo conveniamo.

La metafisica a cui tu inneggi è quella severiniana, per quanto oggi inattuale ed isolata nel panorama filosofico contemporaneo.

Ai tuoi occhi, appare meritevole di apporti decisivi.

Ci ha liberato dalla concezione secondo la quale il mondo sia abbandonato al divenire, per cui “tutte le cose vengono dal nulla finiscono nel nulla”; “il nulla è ciò che da principio e da ultimo caratterizza tutte le cose”;

Dopo oltre dieci secoli, ha spazzato via la veneranda “figura filosofica della CREATIO EX NIHILO”;

Ha acquisito “l'eternità di tutte le cose singole”: dalla stella che esplode al fiocco di neve che evapora. Necessariamente.

Il che ci salva definitivamente dall'angoscia della morte.

Ha un bell'insistere Piero, nel suo pregevole contributo sull'atomo, sull'evoluzione, sul copernicanesimo, ecc...; in realtà le idee che hanno cambiato il mondo in profondità la vita dell'uomo sono quelle severiniane.

Le sostieni con piglio deciso e perentorio.

Tali idee suscitano invece in me perplessità e riserve perché, a mio sommesso avviso, risultano poco persuasive. Lascia che cerchi di chiarirmi. Onorare un pensiero è discuterne, no?



Circa il “nulla”, che è da intendere?

Tu l'intendi come come ciò che limita in assoluto l'essere. Sembrerebbe da intendere che ci sono due opposti, due opposti contraddittori.

A mio sommesso avviso il nulla (non-essere) non è; e dunque non vi corrisponde un qualcosa di reale che limita l'essere, perché in tal caso rientrerebbe nell'essere.

Il nulla assoluto è un puro ENS RATIONIS e non si oppone all'essere perché all'essere non si oppone … nulla. Noi sperimentiamo nell'esperienza non il nulla assoluto ma solo il nulla di qualcosa, il negativo della privazione di un certo essere di qualcosa.

Va in frantumi una bottiglia: non c'è più la struttura determinata della stessa e si hanno i cocci, i frammenti.

Forse, può soccorrere la distinzione tra i due significati di essere e ente a spiegarmi un poco più.

l'essere è ciò che si oppone in modo assoluto al nulla; è un ENS RATIONIS come il nulla cui si oppone. Perché? Perché l'essere indeterminato non esiste: è frutto della ipostatizzazione di un concetto indeterminato, mentre l'esistente è sempre determinato.
Perché ciò che è comune a più cose (la nozione universale di essere) non esiste “a parte” delle cose stesse e va concepito come un significato universale espresso in una nozione indeterminata.
Solo quando riuscissi ad argomentare positivamente in favore dell'esistenza di un Ipsum esse subsistens sarei autorizzato a ritenere tale esse subsistens reale, ben reale perché qualificato da nozioni determinanti (infinito, assoluto, spirituale, ecc.) e non può essere concepito come l'essere comune a tutte le cose.

ente significa qualcosa che è: un sasso, un albero, un cavallo, un uomo. Noi tutti abbiamo esperienza di tali enti molteplici, divisi, delimitati, finiti, divenienti

Ora non mi pare di vedere che non si possa dire: ogni ente è un essere (tesi fondamentale di Severino) perché tale proposizione esprime un giudizio contraddittorio. In quanto identifica un significato finito (ente) con uno infinito (essere).


Ogni ente è eterno (Severino). Perché anche l'ente determinato (farfalla, riflesso del raggio di sole...) ha questo di comune con l'essere, che è un non-niente.

Ogni ente non può non essere, possiede l'essere necessariamente.

Non appare più quando la farfalla muore o il riflesso del raggio luminoso si spegne ma continua ad esistere eternamente.

Ora, che l'essere appartenga necessariamente a tutti gli enti non appare evidente.

Invece, appare che “ è proprio del finito il perire” (Hegel).

“Perdiamo a milioni ogni giorno cellule cutanee”, scrive Francis S. Collins (gesuita statunitense, responsabile del Progetto Genoma), in Il linguaggio di Dio, Sperling & Kupfer, 2007, p.261.

Secondo Severino, necessariamente destinate all'eternità?

Credibile?


Per Severino tutto è necessario: necessario l'apparire e il disparire dell'essere in tutte le sue determinazioni alla mia e alla tua coscienza; necessaria anche la filosofia severiniana, se accade come accade.

Diffondendosi, ne dovrebbe derivare un atteggiamento di totale indifferenza o immobilità, data la sempre più approfondita consapevolezza della necessità di enti ed eventi.

La prospettiva filosofica di Severino non riconosce spazio per la libertà nell'uomo.

Il che, francamente, suscita perplessità, non convince.


Se la totalità dell'essere e delle cose è eterna, la morte, secondo la verità dell'essere, non è che l'assentarsi di un eterno.

Si prende così coscienza della ” vera salvezza dall'angoscia della morte, perchè il mortale si sente non più mortale, ma eterno nell'eternità del divino” (E. Severino, IL GIOGO. Alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi, Milano, 1989, pp.64-65).

L'angoscia della morte è “radicalmente vinta”. Così si esprime Severino:

“Dolore e morte non conducono al nulla, ma esistono. Cioè sono eterni ed eternamente oltrepassati nella Gioia” (E. Severino, LA FOLLIA DELL’ANGELO. Conversazioni intorno alla filosofia, ac. Di Ines Testoni, Rizzoli, Milano 1997, p. 59).

Chi ammette il divenire vive il morire come nientificazione (nichilismo); colui che guadagna il punto di vista severiniano si convince che “è possibile morire in un modo che l'uomo non ha mai sperimentato...Quello in cui si muore non dinanzi al nulla, ma dinanzi all'eternità di tutte le cose e di tutti gli eventi” (ivi, p. 167).

Questa “nostra destinazione per l'eternità” (E. Severino, LA GLORIA, Adelphi, Milano 2001, p. 36) comporta il “disvelamento della Gioia” perché “nello sguardo del destino, la morte del mortale è questo suo essere eternamente conservato (ivi, p. 401).

Quale il significato di questa nostra “destinazione per l'eternità”?

L'essere immersi nella “ indefinita manifestazione dell'eterno in cui la Gloria consiste e che indefinitamente si arricchisce “ (ivi, p. 31).

L'uomo (come ogni ente e ogni evento, anche i più insignificanti) sarebbe destinato a esistere come momento eterno dell'eterno spettacolo dell'essere eterno, destinato a manifestarsi senza requie. Necessariamente.

Una prospettiva che dà le vertigini e che mi è di difficile comprensione.

Lo stesso Severino riconosce che su questo punto c'è dell'oscurità quando scrive, ad esempio:

“ tutto quello che abbiamo vissuto...è eterno, non verrà mai meno; ma che altri eterni debbano darsi innanzi senza fine...rimane ancora un problema” (LA LEGNA E LA CENERE. Discussioni sul significato dell'esistenza, Rizzoli, Milano,p. 148).


In quanto alla creatio ex nihilo, tu la proclami solennemente come una proposta non giustificata e da abbandonare definitivamente. E si capisce: convinto come sei che il finito sia eterno, non vedi come sia necessario cercarne il fondamento.

A me pare di vedere che si debba tener fermo che l'Intero dell'essere (infinito) differisce dal mondo finito dell'Unità dell'esperienza. Mentre il primo sempre sta, il secondo non può essere così pensato.

Il fondamento dell'esserci del finito sta nell'infinito: nel rapporto di dipendenza del mondo delle cose dall'Intero dell'essere.

La creazione, spogliata da tutte le possibili visioni antropomorfiche, esprime nient'altro che la dipendenza ontologica del finito dall'infinito.

- Tu interpreti l'espressione “dal nulla” come se volesse dire che il nulla è la matrice dalla quale tutte le cose sono tratte.

- Se così fosse, il nulla non sarebbe nulla, ma sarebbe da intendere come qualcosa: contraddizione!

Creazione dal nulla è invece da intendere come produzione totale dell'essere delle cose, produzione alla quale nulla è presupposto da parte del prodotto.


Chiudendo il tuo scritto, tocchi il tema della scienza e della tecnica (tema caro a Severino fin dagli anni ottanta) e con gli stessi toni profetico-apocalittici.

La tecnica, figlia della “presunzione infinita” della modernità, quella di stabilire un dominio “assoluto” sulle cose da parte dell'uomo, pretende di manipolarle a piacimento. La intendi come una forza onnipotente che incombe come un pericolo mortale sull'umanità.

Unica via di salvezza quella indicata dal maestro, cioè quella di attingere il punto di vista dell'”eternità di tutte le singole cose”.

Presa coscienza che le cose sono immutabili ed eterne e non contingenti e divenienti, diventa impossibile manipolarle, modificarle, come pretende erroneamente la tecnica, illudendo l'uomo di poter guadagnare con il possesso delle cose la pienezza di vita.



Che dire? Permettimi due banali osservazioni.

Considerare tutte le cose (e gli eventi) eterne, implica necessariamente che tutti gli aspetti negativi e drammatici dell'esistenza umana, dalla lebbra alle forme di alienazione mentale, permarranno per l'eternità: una prospettiva raggelante.


In quanto alla ricerca scientifica, mi pare che tu abbia un'immagine semplificata all'eccesso, non realistica. La consideri come un che di univoco (come l'essere parmenideo), non differenziato. Ma che parentela c'è tra il microchip del computer e lo spaccare la legna?

Nella realtà della storia le tecniche appaiono differenziate, dai risultati mai definitivi, provvisori, a volte incerti e precari, sempre rivedibili; che comportano, è vero, seri pericoli ben reali, ma anche, insieme a debolezze innegabili, potenzialità positive.

Permettimi di segnalarti una pubblicazione illuminante sul tema:

Michela Nacci, PENSARE LA TECNICA. Un secolo di incomprensioni, Laterza, Bari 2000.

Adesso proprio basta. Ritengo che la tua pazienza nei miei confronti, pur essendo ai tuoi occhi un che di...immutabile ed eterno, sia da considerare un che di apprezzabile, certo, ma limitata e mutevole. Spero tu ne riservi una certa dose per scorrere queste righe senza pretese, in nome della nostra antica amicizia.

Un abbraccio forte,

Ambrogio Alberti Camaldoli, agosto 2010

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