YEMEN: UN VIAGGIO NELL'ISLAM DELLE ORIGINI - 40 FOTO PRESENTATE E COMMENTATE DA PAOLO MARIANI

13.09.2010 21:00

 

Yemen, un paese integralista fra isolamento e sviluppo.

La tradizione islamica più antica significa necessariamente isolamento? Pare essere più facile la disponibilità al dialogo interculturale di una realtà islamica rimasta più isolata e quindi più autentica, di un Islam forzatamente occidentalizzato e a contatto diretto con lo sviluppo consumistico e tecnologico.

La possibilità di scoprire l’ originaria vicinanza fra la religiosità cristiana e quella islamica.

I problemi della separazione fra società civile e religiosità in occidente, e quelli della religiosità islamica che si fa anche testo civile e sociale.

Dibattito

Data: 18.06.2013

Autore: Luca Lunardi

Oggetto: INVOLUZIONE

“Involuzione”. Questa parola è stata pronunciata due o tre volte durante la presentazione delle interessanti fotografie a un pubblico che aveva l’aria di essere preoccupato di fronte a quello che vedeva e che ascoltava (o forse era solo la proiezione dei miei pensieri). Sono in parte d’accordo con le diagnosi di Tiziano Guerini; non credo tuttavia che il cuore del problema si possa ridurre all’asimmetria scientifico-tecnologica, a cui conseguirebbe la sfida sul piano religioso come unica chance di rivalsa (così mi pare di intendere). Impostata in questo modo, sembrerebbe quasi ridursi a una forma di invidia sociale, anche se certamente l’Islam soffre questa inferiorità in misura maggiore rispetto ad altri. Tuttavia, le persone che vivono nei paesi islamici non percepiscono questa asimmetria come una minaccia in quanto tale – anzi, sovente ammirano le conquiste tecnico-scientifiche occidentali (ovviamente le polemiche sulle cosiddette bombe intelligenti, eminente frutto delle scienze dell’automazione, sono solo un pretesto). Gli stessi islamisti radicali fanno ampio uso di tecnologia nella loro propaganda (guerre sante telematiche), e i terroristi nei loro attacchi. Quello che è degno di nota è piuttosto l’impalcatura ideologica che circonda questi atti, e il lessico “medievale” che li caratterizza. Come opportunamente osservato, grosso modo dagli anni ’70 del secolo scorso in poi, paesi che potevano dirsi sostanzialmente “laici” – con tutti i distinguo e le semplificazioni brutali del caso – sono stati lasciati in balìa di organizzazioni come i Fratelli Musulmani; dati in pasto a ideologi come Sayyid Qutb o Ali Shariati (che entusiasti commentatori europei chiamano filosofi); a dittatori antisemiti (sappiamo cosa significa: evitiamo quindi l’inutile osservazione che anche gli arabi sono semiti), fino ai demoniaci parossismi dei teorici del martirio, concretamente utilizzati da eserciti irregolari di giovani a cui è stato estirpato qualunque valore umanitario. Nel parlare di “involuzione”, qualche commentatore ligio al politically correct potrebbe osservare che si sta procedendo a una indebita valutazione di dinamiche sociali e religiose non suscettibili di essere definite migliori o peggiori di prima. Purtroppo per tutti, non c’è parola migliore. Per poter instaurare un confronto che abbia qualche legittimità filosofica e al contempo invalidare possibili conflitti sul piano religioso, io preferisco inquadrare la discussione entro una cornice laica nel senso proprio del termine. Cioè, uno scarno insieme di regole unicamente atto a garantire il principio del permesso individuale, del rispetto della proprietà e della proibizione dell’uso illegittimo della forza. Non perché io sia un ateo – al contrario – ma perché non credo, a differenza di molti, che una vera conciliazione religiosa (sia pure “antica e isolata”) sia davvero possibile.

Voglio proporre alcuni esempi, con un pizzico di sana provocazione.

Mi piacerebbe sapere come reagirebbe un pacifista troppo ingenuo di fronte alla sconcertante testimonianza di Mariani relativa al fatto che una fetta allarmante di popolazione yemenita tifava per McCain alle ultime elezioni. Se dobbiamo dar credito a chi sostiene che la rabbia musulmana è puramente reattiva alle presunte malefatte occidentali, che un mutamento di rotta politica americana e una soluzione del conflitto israeliano - palestinese sarebbero sostanzialmente sufficienti a placare gli animi e dare speranza, un segnale di questo tipo diventa difficile da spiegare. Chi vuole la guerra? (Io tuttora mi chiedo come sia possibile che mezzo mondo abbia potuto seriamente credere che Barack Obama avrebbe sistemato subito tutto. Non sistemerà nulla - non perché non sia persona degnissima per quello che è e per quello che rappresenta, ma perché non ci si trova di fronte a qualcosa suscettibile di essere risolto da una persona sola nell’arco di un mandato presidenziale. In questo atteggiamento non posso che scorgere un senso angosciante di impotenza collettiva, che sfocia nell’irragionevole fiducia nell’uomo della provvidenza).

In questi giorni un inqualificabile personaggio ha più volte minacciato di bruciare il Corano. Il minimo che si possa dire è che l’atto sarebbe inopportuno, se non altro per evitare prevedibili noie; più ragionevolmente, si può tranquillamente sostenere che un atto del genere è irrispettoso e incivile. Questo è quello che qualunque persona civile penserebbe - provocazioni estemporanee a parte - e non è il caso di aggiungere molto. Quello che sconcerta è che invariabilmente, a valle di fatti isolati di questo genere, si scatena un’orgia abominevole di violenza che dovrebbe provocare un’indignazione infinitamente più grande di quella che si solleva per criticare l’atto iniziale (peraltro non realizzato). Missioni e Chiese date alle fiamme, manifestazioni oceaniche con auguri di morte indirizzati a paesi interi quasi che fossero l’ipostasi di un satana da lapidare e uccidere. Incapacità radicale di distinguere la responsabilità soggettiva (l’iniziativa stupida di un singolo che rappresenta solo se stesso) dalla colpa cosmica. Ma quel che è peggio, silenzio assordante da quest’altra parte. Che l’Europa sia ormai un’indefinibile entità sradicata e secolarizzata, insensibile ai propri stessi figli missionari in Asia o in Africa, passi; che si faccia baluardo dei diritti umani nel mondo, nascondendo la testa sotto la sabbia solo per paura alla prima occasione significativa, puzza di intollerabile viltà. Mariani ha neutralmente ricordato un comportamento tipico: dopo casi simili, anche i supposti moderati “scendono in piazza”. Quello che non accetto è la definizione. Un “moderato” europeo non si sognerebbe mai di “scendere in piazza” con i neonazisti, a prescindere dalla motivazione. E l’europeo medio, solitamente, non augura la cancellazione di interi paesi dalle carte geografiche, inscenando danze tribali su bandiere e pupazzi bruciati – con l’unica eccezione di qualche pseudopacifista a senso unico non alternato, che però brucia la bandiera dell’unico paese democratico del Medio Oriente.

In questi giorni, la Francia vieta abbigliamenti femminili che coincidono con autentiche prigioni fisiche, senza farne una questione di tradizioni o di religione. Abbiamo tutti visto le fotografie delle donne yemenite – ma non ce n’era bisogno; non c’era nemmeno reale bisogno di avere conferme che almeno socialmente esse sono sostanzialmente “oggetti”, come Mariani stesso ha detto. Potremmo discutere interminabilmente sulla possibilità teorica che una donna possa decidere, senza costrizioni esterne, di indossare quello che le pare, secondo una certa concezione della libertà individuale. Questa impostazione, tuttavia, può forse essere materia per filosofi amanti delle ontologie dei mondi possibili; nel mondo reale, oggi, rappresenta una scorciatoia irritante per nascondere un abisso di barbarie. Non esiste alcun modo per dialogare, tantomeno per raggiungere un accordo, con chi ritiene doveroso lapidare una donna dopo che la medesima ha subito uno stupro (a meno che l’accordo non preveda l’abolizione della pratica oggetto del dissidio, cosa che è proprio ciò che costituisce problema). Su questo terreno, anche qualora lo si consideri – giustamente – non religioso ma latamente culturale, non sussiste alcuna possibilità di conciliazione. E analogamente per altri casi affini.

Ci si stupisce di come sia possibile che una civiltà che un tempo poteva diffondere dottrine filosofiche e insegnare tecniche artistiche, sia ora ridotta ad affidare a infedeli italiani il restauro di monumenti lasciati all’incuria del tempo. È solo uno dei tanti casi, fra cui spicca l’introduzione delle tecnologie occidentali da parte di professionisti che si trovano a dover viaggiare fra mille precauzioni, come capita ad alcuni miei colleghi. I quali, abbastanza atterriti, se ne tornano a casa con aneddoti incredibili – signori pakistani benestanti e distinti, dipendenti di una ricca multinazionale europea in giacca, cravatta e portatile sotto braccio, che candidamente ammettono di ritenere Osama bin Laden un eroe, e i talebani uomini pii e rispettabili. Il collega, giustamente, non osa pensare a cosa potrebbero dire i concittadini delle classi più povere. Ma tralasciamo pure questo, che qualcuno potrà ritenere un caso ad hominem. Veniamo piuttosto all’Islam “faro di cività” durante il medioevo cristiano, su cui continuo a nutrire perplessità. Se non altro, da una posizione islamica di vantaggio, si tratterebbe di spiegare l’evidente divaricazione emersa durante i secoli, tra un occidente cristiano estremamente dinamico politicamente, filosoficamente e scientificamente, e un Islam sempre più avviluppato nella propria… involuzione. Bernard Lewis, da più parti, ripete adducendo innumerevoli esempi che i musulmani hanno sempre e solo fatto proprie le conquiste intellettuali degli infedeli (e pure i greci lo erano) laddove potevano essere utili a mantenere la supremazia politica e militare, scartando completamente tutto il resto. Recentemente Gouguenheim Sylvain, fonti alla mano, argomenta non senza ragioni come il clichè dell’Islam salvatore, traduttore e trasmettitore del sapere classico all’Europa oscura e arretrata sia in buona parte un luogo comune storiografico (naturalmente Franco Cardini grida allo scandalo, ma non stupisce). Sappiamo bene che i traduttori erano quasi sempre sudditi cristiani, che le traduzioni erano estremamente selettive (secondo il criterio di cui sopra), che esistono importanti controversie sulle priorità, e che i filosofi islamici davvero degni di nota (peraltro rimasticatori di Aristotele) scompaiono completamente dopo il XIII secolo con la cosiddetta “chiusura delle porte dell’ijtihad”. Senza togliere nulla all’enorme importanza di Averroè e Avicenna nelle Università europee, le cosiddette radici islamiche dell’Europa sono un’esagerazione. L’Europa è stata plasmata in misura massiccia e preponderante dal Cristianesimo, che piaccia o no, e occorre una buona dose di fantasia per minimizzare. Medioevo a parte, nelle Università occidentali oggi lavorano orientalisti che studiano l’Islam e lo insegnano, da tutti i punti di vista. Non esiste nulla di paragonabile nel mondo islamico, che è generalmente ignorante dei veri fondamenti del Cristianesimo. Oggi, alla ricerca affannosa di qualcosa che possa accomunarci, insistiamo sul luogo comune di cui sopra e sulle comuni radici abramitiche. Con buona pace di Hans Küng, il quale scrive libri monumentali scavando nei viaggi di Abramo, della comune radice abramitica al ragazzo che legge il giornale nella foto mostrata da Mariani non interessa assolutamente nulla. Questo genere di appigli è troppo flebile e sterile per fungere da elemento accomunante e avere apprezzabili effetti pratici. Possono soddisfare gli accademici, ma gli accademici possono anche essere cattivi maestri.

Da una certa prospettiva, sono d’accordo che il “dialogo” (qualunque cosa questo significhi) potrebbe essere più agevole con chi è rimasto relativamente meno intaccato dall’influenza occidentale. Ci siamo sentiti sollevati nel sentire come sia tutto sommato possibile parlare con gli anziani nella moschea. Peccato che non lo sia con i più giovani. Stando alle proiezioni demografiche, l’età media di molte popolazioni musulmane si abbasserà. Forse è perfino prevedibile che con questi sia più difficile: proprio il ragazzo fotografato col giornale stava forse leggendo da fonti non proprio equidistanti dell’ultima sanguinaria malefatta dei sionisti, o dell’ultimo bombardamento andato male su innocenti donne e bambini (fra i quali giravano indisturbati guerriglieri in abiti civili, probabilmente). Abbiamo forse ancora bisogno, dopo un secolo di totalitarismi, di capire come la propaganda, l’indottrinamento (parola che non piace a Mariani – perché mai?), il pensiero unico, gli ideologi razzisti, la mancanza totale di cultura democratica possano creare generazioni intere di uomini votati alla violenza e all’odio? E quale può essere l’origine, se non la percezione di essere assediati da agenti contaminatori di una presunta purezza originaria perduta, un’età dell’oro durante la quale ebrei e cristiani erano sulla difensiva, quando la gabbia della felice società chiusa non era ancora stata aperta da idee sataniche la cui applicazione avrebbe generato disastri? Che cosa insegnano, se non questo, i sermoni infuocati nelle moschee? Quel ragazzo non è forse stato indottrinato da una sequela di informazioni distorte e ideologie assassine, fino a perdere la percezione degli omicidi e delle nefandezze dei suoi stessi correligionari? Una è la via per frenare a lungo termine l’involuzione dell’Islam: spazzare via i suoi cattivi maestri, con le loro innumerevoli guardie del corpo armate. Come farlo senza spargere sangue, non lo sa nessuno. Chi dice di saperlo, mente. Si è detto durante l’ultima serata che anche l’Europa cristiana era così, e che dobbiamo essere tolleranti. Ammesso e non concesso che il paragone regga, se è il genere di tolleranza a cui penso, è quello che porta dritti alla definitiva scomparsa della tolleranza medesima, perché gli intolleranti la distruggerebbero, e le persone tolleranti assieme a essa. Io non sono fra quelli disposti a scusare e giustificare per presunte ragioni culturali; riterrei questo una manifestazione di razzismo nella sua forma più pura. L’europeo medio è doppiamente ipocrita: considera popoli interi inconsapevoli e irresponsabili di quello che pensano e fanno, ritenendoli implicitamente abitanti di paesi incivili e arretrati, ma non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura. La sua faccia sociale è quella di un uomo colto che predica uguaglianza e relativismo, ma volta la faccia dall’altra parte per non vedere l’inguardabile. Io, invece, prendo molto sul serio chi grida e marcia nei cortei, sia o no “pilotato” dai suoi burattinai.

Le asimmetrie che vedo sono prima di tutto etiche, e sono inconciliabili, come sono sostanzialmente tutte le controversie di carattere etico. Condizione femminile e libertà religiosa sono due terreni su cui ciò che gli uni ritengono immorale o empio, gli altri considerano diritto inalienabile o dovere, e viceversa. Giustizia, libertà, democrazia sono termini che appartengono ad aree semantiche non del tutto sovrapponibili fra i due mondi. Quello che da una parte viene considerato atto barbaro di guerra senza regole potrebbe venire considerato legittima azione o resistenza dall’altra, solo perché si tende a usare pesi e misure morali del tutto diversi. Laddove gli occidentali sono disprezzati, lo sono perché vengono ritenuti prima di tutto immorali – che poi l’immoralità sia considerata in primo luogo una conseguenza di una forma di infedeltà o ateismo, deriva dal fatto che l’Islam sussume tutte le dimensioni del vivere sotto la sfera religiosa, non sufficientemente distinta da quella civile. Sono convinto che se uno spiraglio esiste, non passa attraverso il “dialogo” impostato su basi religiose. L’Islam deve smettere di leggere la realtà attraverso quelle lenti (peraltro ideologicamente deformate), perché è proprio questo a essere parte del problema, e se pensiamo di venire incontro a esso cercando elementi religiosi in comune, non facciamo altro che rimanere nella stessa spirale, girando in tondo all’interno di una stanza logora. Occorre spezzare questa catena. A che cosa potrà mai servire rileggere per l’ennesima volta le basi teologiche delle due religioni che si combattono con ferocia da sempre accusandosi reciprocamente di infedeltà, sperando di annullare le differenze che continueranno a sussistere? Della origine abramitica ho già detto sopra; ora che anche il grande pubblico sa che l’Islam ritiene Gesù un grande profeta – solo perché è l’altra immancabile solenne colonna del dialogo cristiano-islamico, ripetuta fino alla noia – cosa ne guadagna il cristiano? Cosa ne guadagna il musulmano? Il primo continuerà a ricordare che Gesù è il Figlio di Dio, Redentore dell’Umanità, nato dal Padre prima di tutti i secoli; il secondo si arrabbierà, ascoltando quelle che ritiene immonde bestemmie dell’Unicità di Dio. Quando un cristiano e un musulmano sono amici, lo sono perché si rispettano come persone. Perché ritengono che non si abbia il diritto di disporre dell’altro senza il suo permesso, materialmente e spiritualmente. Questo è un principio laico, di una laicità sana. Vogliamo ripartire da qui, invece che da Abramo?

Data: 18.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: L’INCONTRO (IM)POSSIBILE FRA ORIENTE E OCCIDENTE

Sento il bisogno dopo qualche giorno (non ho potuto farlo prima) di chiarire meglio il mio pensiero rispetto al rapporto Occidente-Oriente – e in particolare fra Islam e Cristianesimo – a seguito dalla relazione di Paolo Mariani nell’ultimo incontro del Caffè filosofico di Crema.

Parto da una premessa, che in realtà dovrebbe essere la conclusioni di un ragionamento che qui non è possibile fare: l’Oriente è destinato ad arrendersi alla cultura scientifico-tecnologica dell’Occidente, molto più forte perché (apparentemente) molto più rispondente alle attese dell’uomo: la sua capacità di dominare il mondo, di sconfiggere i propri mali (fame, impotenza, malattie…) e di immaginare così, un futuro di felicità. Tutto ciò è stato evocato per secoli dal riferimento teologico-religioso, comune, in sostanza, sia alla religiosità storica cristiana che a quella islamica. C’è qui, allora, un punto fondamentale di convergenza fra cristianesimo e islam – che Paolo Mariani ha giustamente sottolineato – e che riguarda un comune processo di resistenza nei confronti della contemporaneità che invece reclama un giudizio di finalità nei confronti della scienza e della tecnica che le religiosità non possono (oggi) accettare. E’ quindi indubbiamente più facile – nonostante le apparenze – un dialogo interreligioso (specie se riferito alla tradizione più antica e isolata) piuttosto che un duro confronto fra due concezioni sociali una delle quali (l’islamica, e in genere, l’orientale) appare immediatamente troppo più debole rispetto all’altra, per poter accettare un qualsiasi rapporto che la vedrebbe immediatamente soccombente. L’unico appiglio per non arrendersi alla cultura operativa e concreta dell’occidente, è quello di sfuggire alla pura razionalità e di rifugiarsi nella fede: una fede che esige una adesione totale e indiscutibile, fatta, nelle sue manifestazioni estreme, di fanatismo, di tenace attaccamento al trascendente, di dura opposizione intollerante e aggressiva. Non potendo competere con l’anima scientifica e tecnologica dell’occidente, l’Islam rafforza i momenti di competizione religiosa con il cristianesimo. Anche questo Paolo Mariani ha detto in riferimento a quella parte del mondo islamico che si trova maggiormente e più direttamente a contatto con l’occidente. La competizione non è infatti sul piano religioso – lo stesso Papa Benedetto XVI si è più volte dichiarato a favore del necessario rispetto di ogni religione e della possibilità di manifestarla. Un’ultima cosa: l’aggressività manifestata dall’intolleranza sociale reciproca fra occidente e oriente, è funzionale al realizzarsi di una società della competizione, della concorrenza, del conflitto, della frammentarietà… Una troppo rapida integrazione, porterebbe più all’appiattimento che allo sviluppo, ed è esattamente questo che scienza e tecnica, nel loro carattere progressivo, rifiutano. Il dialogo interreligioso sposta l’attenzione nei confronti dei valori tradizionali, il contrasto rafforza invece la corsa verso la scienza e la tecnica – nell’illusione del maggior rafforzamento dell’una o dell’altra parte - come unico valore.

Naturalmente sono solo degli spunti che esigerebbero un ben maggior approfondimento.

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