ALLA RICERCA DELLA VERITA' - RELATORE: DON GIORGIO ZUCCHELLI

14.11.2005 21:00

Il “relativismo ha senso solo se si interpreta non come una affermazione “assoluta”- cosa che realizzerebbe una evidente contraddizione – ma come l’avvio della ricerca della verità.

Una ricerca naturalmente interpretata alla luce delle attualità sociali, scientifiche e filosofiche.

La ricerca, poi, esige –salvo rimanere pura e vuota teoria- una scelta individuale ed esistenziale, ma anche collettiva e democratica -: una scelta di fede (anzitutto e soprattutto quella religiosa) impegnativa e responsabile.

Partendo dalla lettura e dal commento del libro Pera-Ratzinger “Senza radici”°, un approfondimento alla luce delle critiche e dei consensi sul problema scienza-fede, relativismo-fede.

  • M. PeraJ. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori, 2004

Dibattito

Data: 22.06.2013

Autore: Giuseppe Agosti

Oggetto: RELATIVISMO E RISPETTO DELLA VITA UMANA

Si sente dire che tutto è relativo. Di frequente con questa tesi , da un lato si tende a nullificare affermazioni di altri, da un altro lato, come se nulla fosse, si sostiene la validità di propri principi. Ciò non è un bene.

Bene ha fatto Don Giorgio Zucchelli, nella sua conferenza sul relativismo tenuta al Caffè fiolosofico in Crema il 14 c.m., ad evidenziare che se si sostiene che tutto è relativo allora anche questa stessa affermazione non è veritiera poiché anch’essa opinabile.

Non tutto è relativo, vi sono affermazioni, valori, principi, scale di valori che hanno certezza dimostrabile e che pertanto richiedono rispetto e costituiscono necessari punti di riferimento per scegliere tra varie possibilità.

Non sto parlando di certezze di Fede che vanno accettate così come sono dai fedeli e che non necessitano di dimostrazione altrimenti non sono più di fede.

Né parlo delle decisioni adottate dalle maggioranze che rendono legali, nel campo di competenza, determinati comportamenti e certe scelte ma nulla di più.

Parlo di certezze che l’intelletto raggiunge con le facoltà razionali, il che però richiede buona volontà di ricerca, onesta apertura a confronti, disponibilità a riconoscere e ad abbandonare pregiudizi.

Cito al proposito la definizione di individuo: “ organismo unicellulare o complesso, animato da un proprio principio vitale, che autonomamente evolve (circostanze consentendolo) in modo progettuale, verso forme proprie degli individui della specie di appartenenza, e ovviamente con risultanze dettate anche da fattori esterni.”

Ad es. la cellula uovo umano nel momento di completamento genomico (di norma per la fecondazione di un oocita da parte di uno spermatocita) è già un individuo poiché procede autonomamente per il proprio principio vitale come tutti gli individui; ovviamente con le potenzialità e facoltà proprie della sua fase; potenzialità e facoltà che, come per tutti gli individui, variano secondo la fase della vita.

La cellula uovo umana dal momento del completamento genomico, essendo un individuo umano, va rispettata; ne va rispettata la vita come si rispetta la vita di ogni individuo umano.

Data: 22.06.2013

Autore: Patrizia de Capua

Oggetto: Il dialogo possibile

In un recente articolo del Corriere della sera (“Il futuro di fede e scienza”, 31 ottobre 2005), Ernesto Galli Della Loggia propone un’interessante interpretazione della storia e della cultura europea. L’ipotesi è che l’Ottocento e il Novecento possano essere considerati una sorta di unico lunghissimo secolo, caratterizzato da ascesa, dominio e decadenza delle ideologie sociali, ossia di quelle visioni del mondo che assegnano “una centralità assoluta alla dimensione collettiva”, e un ruolo subordinato al singolo. Tale prospettiva verrebbe definitivamente accantonata con la caduta del muro di Berlino e il tramonto dell’esperienza sovietica. Ma a tale crollo non farebbe seguito l’immediata affermazione di una visione del mondo già organicamente strutturata intorno a valori alternativi, quali quello dell’individuo e della soggettività. Anzi, oggi l’individuo rappresenterebbe un campo di battaglia, dove si affrontano le uniche due ideologie sopravvissute: religione e scienza. Ovvio che la prima si presenti come capace di ancorare la persona a qualcosa di saldo e non-relativo, mentre la seconda promette all’individuo “l’ampliamento concreto della sua sfera di autodeterminazione (fin quasi ai limiti della fantascienza)”, se non addirittura - aggiungo io - il soddisfacimento del più antico desiderio umano, dovesse pur comportare il superamento di confini etici un tempo ritenuti invalicabili: il desiderio di felicità. Insomma, persona e progresso si affronterebbero come due nemici, sotto le bandiere di Chiesa e scientismo, incapaci l’una e l’altra di rappresentare, da un lato, una presunta naturalità, e dall’altro uno spregiudicato “divenire” con relativa volontà di potenza. A ragione Galli Della Loggia conclude mettendo in guardia da facili semplificazioni, e alludendo a un più articolato scenario, dove è in gioco “l’orizzonte culturale dei tempi e in fin dei conti l’avvenire di noi tutti”. Peccato che poi il discorso rimanga in sospeso proprio qui, e l’annunciata complessità non venga analizzata.

Forse gli elementi per questa analisi sono già stati offerti agli habitués del “Caffè filosofico” dalla relazione di Silvano Allasia: il dialogo è possibile (deve essere possibile) con coloro che, in ambito religioso, sostengono posizioni non dogmatiche, intendendo il relativismo come la premessa necessaria della fede cristiana (Antiseri), o proponendo una sorta di cristianesimo militante capace, per così dire, di ricollocare i valori a livello della prassi, ambito al quale si richiamano spesso molti interventi del nostro “Caffè”. La Chiesa, dice don Zucchelli, ha fatto tanti cambiamenti costretta dal mondo. E’ vero: costretta, non convinta. Le dure lezioni della storia l’hanno indotta a moderare alcuni toni, a cercare e trovare mediazioni. Ma la vera mediazione è quella di chi è convinto, di chi è davvero disponibile al dialogo.

Ho trovato molto interessante l’intervento di Claudio Ceravolo a proposito della presenza dei veri valori cristiani nel terzo mondo. E’questa, credo, la sfida di oggi, e affrontarla significa credere nella possibilità di salvare la “verità dei valori fondanti” (ancora don Zucchelli) che è premessa di una ricerca comune. Non credo che si tratti di retorica. Né penso sia proficuo partire armati di pregiudizi e risentimenti che nascono più dalla delusione di chi aveva creduto nel mito del beau sauvage, che da una presa di coscienza della reale condizione di popoli lontani. Va bene: l’illuminismo è ormai superato, come ammonisce l’amico Piero Carelli. Siamo ben oltre la statua di Condillac: siamo simbionti. Ma simbionti che devono comunque ancora e sempre fare i conti con i problemi della vita, del dolore, del sesso, della paura, della malattia e della morte. Possibile che non ci resti un po’ di interesse per l’umanità, uno slancio di fiducia nella capacità di riconoscere noi stessi negli altri? Se qualcuno dice che abbiamo bisogno di “due ali” (ragione e fede), mi pare che precluda la possibilità di volare a una parte, grande o piccola, dell’umanità. Preferisco pensare che per un possibile dialogo sia sufficiente quella che Gardner chiama intelligenza interpersonale: la capacità di empatizzare con gli altri, di intuire le loro motivazioni. Da questo dono creativo che ha dato vita ad importanti movimenti storici come la strategia della non violenza di Gandhi, l’opera di Martin Luther King o la protesta degli studenti cinesi di piazza Tienanmen, forse può nascere un confronto anche con chi non la pensa come noi.

Data: 22.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: L’OCCIDENTE E IL MONDO

Riprendo e articolo meglio la considerazione rapidamente svolta durante il dibattito seguito alla relazione di don Giorgio Zucchelli nel Caffè Filosofico del 14 novembre 2005.

C’è una frase nel libro “Senza radici” che a mio parere è particolarmente significativa delle ragioni e degli obiettivi che lo scritto si prefigge. La frase dice press’a poco così: “ Proprio nel momento in cui la civiltà europea conquista il mondo, va in frantumi la sua radice cultural-valoriale”.

L’implicito di questa affermazione sta nella positività di tale conquista; l’esplicito stà nel legare la “forza” dell’azione di conquista alla diffusione dei valori metafisico-cristiani (perché in questo viene individuata la radice) che la giustificherebbero.

La riflessione che intendo svolgere sta nella domanda “se l’azione di conquista non sia invece resa possibile proprio dall’abbandono dei valori tradizionali dell’Occidente.”

Ogni conquista ha bisogno di mostrarsi “aperta” a ciò che appunto vuol conquistare: l’impero romano inventò il Panteon per questo. Qual è il nuovo panteon dell’occidente? Con quali forme allettanti si presenta al resto del mondo l’occidente?

Credo sia fuori dubbio che la dimensione cultural-valoriale con cui l’occidente sta ormai avviandosi, nonostante ogni resistenza, alla conquista progressiva del mondo, sia data dal binomio inscindibile scienza-tecnica. E’ questo binomio valoriale che sta mandando in frantumi la radice culturale dell’occidente? Oppure – ed è questo che qui si sostiene – scienza e tecnica non sono che l’inverarsi e l’attualizzarsi sul piano della correttezza logica delle premesse metafisico-cristiane proprie del pensiero occidentale?

Se il cuore del pensiero dell’occidente sta nella affermazione del “divenire” di tutte le cose (la nascita e la morte delle cose), allora non ci sono che due conseguenze (sviluppate dall’ occidente in successione storica): dapprima la giustificazione del “divenire” (che posto da solo realizzerebbe la contraddizione) attraverso la posizione di un “indiveniente” (l’Assoluto, il Demiurgo, Dio creatore dal nulla) ; e poi – come passaggio logico oltre la nuova posizione di contraddizione realizzata da un “indiveniente” destinato in realtà a mostrarsi non causa ma effetto del “relativo”- l’affermazione necessaria del relativismo nella solitudine di un “divenire “ posto come confine invalicabile della conoscenza e della azione dell’uomo. Tale confine invalicabile – fonte di incertezza (esistenziale) ma anche potentemente efficace, è rappresentato dal binomio scienza-tecnica. Non quindi abbandono delle radici culturali metafisico-cristiane, ma loro coerente attualizzazione. L’occidente sta allora accingendosi alla conquista del mondo attraverso la traduzione potente delle proprie radici metafisiche ( e cristiane, nella accezione mondana e politica di questo termine) nella loro trasfigurata potenza operativa scientifico-tecnologica.

Si pone qui, però, la domanda che E. Severino va ponendo ormai da qualche decennio all’attenzione della cultura contemporanea: “il divenire” non ha altra definizione possibile che quella che ha dominato e domina, sia pure in forme e con strumenti diversi, il pensiero occidentale: essere cioè la manifestazione del nascere e del morire delle cose? Oppure…

Data: 22.06.2013

Autore: Paolo Ceravolo

Oggetto: R: L’OCCIDENTE E IL MONDO

Torna a pagina tema incontro e interventi collegati



Riprendo anch'io le considerazioni fatte a seguito della relazione di don Giorgio Zucchelli nel Caffè Filosofico del 14 novembre 2005; collegandomi anche con l'intervento inviatoci via email da Tiziano Guerini.

Voglio premettere a onor di chiarezza che anch'io, come Guerini, sono un estimatore del lavoro di Emanuele Severino e ne condivido l'impianto e amo muovermi nel ragionamento seguendo quel filo.

I miei commenti alla relazione di don Giorgio Zucchelli insistevano sulla necessità di dare una più chiara collocazione al discorso sul relativismo. Nel senso che a mio avviso va detto con maggior precisione dove, nella nostra realtà attuale, il relativismo agisca, anche implicitamente, come filosofia o atteggiamento di vita. E quali implicazioni del relativismo siano da criticare, nel senso di quali aspetti sia utile far emergere perché la nostra coscienza e comprensione del reale ne abbia un guadagno.

Questo credo che si sia capito, non credo però di aver saputo comunicare tutte le implicazioni che lego a questa mia affermazione.

Innanzi tutto nego che passa essere utile oggi riproporre un dibattito sul relativismo come posizione metafisica dogmatica o come ideologia. Certo, come Guerini ci fa notare, riprendendo Severino, la scienza e la tecnica rappresentano attualmente lo sbocco più forte del percorso di ricerca della cultura occidentale. Scienza e tecnica risolvono brillantemente l'inquietudine di base del pensiero occidentale (quale fondamento giustifica la realtà fenomenica, dominata dall'apparente e dal diveniente?) attraverso una posizione metafisica basata sul probabilismo, ciò sul fatto che la conoscenza si rivolge verso ciò che si può prevedere e ripetere, senza nessuna necessità che questo abbia un fondamento causale identificato, con più forza si potrebbe arrivare a dire: una giustificazione metafisica. Insomma la scienza e la tecnica hanno a rigore di logica una implicazione metafisica relativista. Nonostante questo però io non credo che sia utile una critica alla scienza e alla tecnica su questo piano. Non è utile perché da un punto di vista gnoseologico la posizione è difficilmente attaccatile. D'altro canto, a mio parere, dire che scienza e tecnica vogliano e abbiano impilcazioni diverse da quelle gnoseologiche è un grosso errore. Certo in qualche circolo intellettuale si riterrà forse che questa posizione si ottenga direttamente una posizione metafisica. Ma non è così per l'insieme della nostra società, non è così per la gente comune.

Poiché il termine "metafisica" può essere letto secondo tradizioni e percorsi diversi, voglio chiare che per me ha una connotazione molto ampia. Metafisica è la ricerca del fondamento del reale, e da questo tipo di discorso nascono forti implicazioni sul piano morale (qual'è il fine dell'uomo e della vita?), da cui poi discendono implicazioni su tutti gli altri piani della conoscenza. In questa accezione, credo sia corretto dire che, a parte qualche intellettuale, abitualmente gli uomini non costruiscono le loro basi metafisiche a partire da percorsi razionali. È molto più comune trovare un proprio percorso pragmatico-morale e da qui costruirsi un orizzonte, una visione metafisica.

Allora, per concludere, io non credo che sia utile combattere il relativismo gnoseologico. Il relativismo che invece io credo pervada la nostra società è di un altro tipo. Se vogliamo, utilizzando un approccio filosofico, possiamo dire che questo relativismo tragga sempre origine dall'inquietudine del divenire, ma in un senso molto più pratico. Nel senso che l'inquietudine del divenire va allontanata dalla nostra coscienza, attraverso l'azione e il controllo materiale. Oggi il vero pensiero forte, più ancora che da scienza e tecnica, è rappresentato dall'Economia. L'uomo ha costruito il mito della suo progresso sulla base dell'idea di pianificazione, progettazione e controllo. Propagandando sottilmente l'idea della realizzazione personale attraverso l'accrescimento del possesso individuale (nella visione liberale la società è un contratto che regola le forme del potere personale degli individui che la compongono). Il percorso odierno poi ha portato alla schizofrenia del consumismo dove l'ansia del divenire non viene più controllata, ma spinta verso l'olio attraverso un possesso effimero, ma sempre rinnovato, di esperienze di soddisfacimento dei bisogni più o meno primari dell'uomo. Come tutti sappiamo, la necessità di dare all'ideologia del possesso materiale una forma rassicurante, ha condotto a spostare gli inevitabili meccanismi di dominio e sopraffazione oltre i confini delle organizzazioni statali dell'occidente (l'economia è il vero strumento di dominio dell'occidente, nel bene e nel male). Conducendo verso il dramma la storia de sud del mondo, che sempre più ci appare dover diventare la storia dell'intero mondo.

Questo è il relativismo che noi dobbiamo combattere. È un relativismo per il valore che pone è solo un idea utilitaristica che sia bene ciò che più permette di possedere. E a questo punto Dio (vero, buono e bello) ci viene in aiuto, come quella possibilità di sottrarci al dramma. Come quella possibilità di sottrarci all'ansia del divenire. La famosa opzione della scommessa di Pascal, non credo debba avere, almeno di primo acchito, implicazioni gneoseologiche, piuttosto le implicazioni sono morali. Dio è la possibilità che abbiamo per cogliere il divenire non come sottrazione, non come deperimento, ma come accrescersi, potenziarsi di vita. Dio è ciò che fonda la vita in radici gioiose, è ciò che ci insegna l'amore come solo cammino. Allora il divenire non è più un terreno da dominare il prima possibile, ma una terra da abitare e tramandare ai posteri.

Grazie dell'attenzione
Paolo Ceravolo

P.S. Sulla base di queste considerazioni mi permetto di proporre per prossimi incontri approfondimenti su temi più concreti della nostra attualità. La filosofia io credo sia cultura che nasce da una storia. Allora è importante capire la nostra storia di oggi. Per esempio credo sia importante capire l'economia, la società dell'informazione, la scienza, la politica, la sociologia di oggi. E lo sguardo filosofico su queste realtà, qualora eviti di essere presuntuoso, può proporre un percorso critico più completo di quello che viene fatto abitualmente all'interno di queste singole discipline.

Nuovo commento