L’ISLÀM: SUPERAMENTO DELL’OCCIDENTE. LE MANIPOLAZIONI FRAUDOLENTE DELLA VERITA' PERPRETATE AL FINE DI DEMONIZZARE L'ISLAM. "CHI E' MUSULMANO NON E' TERRORISTA E CHI E' TERRORISTA NON E' MUSULMANO" - RELATORE: ROSARIO PASQUINI

11.04.2005 21:00

Al – Shàykh ‘abdu r – Rahmàn, dott. Rosario Pasquini, imam di Milano, all’incontro di lunedì, 11 aprile, programmato dal Caffè filosofico presso il Caffè Gallery di via Mazzini

 

Una terribile minaccia o un messaggio di liberazione? Che cos’è davvero l’islamismo? Vi è chi, dopo l’11 settembre, ha evocato lo spettro di uno scontro di civiltà. L’Occidente è in pericolo? La millenaria civiltà occidentale, segnata in particolare dalla cultura greco-romana, dal Cristianesimo, dall’Umanesimo e dall’Illuminismo, rischia di soccombere ad opera dei “barbari” e fanatici musulmani?

C’è qualcosa di vero in questa immagine, oppure siamo in presenza di una grande mistificazione occidentale? Qual è il significato autentico di “guerra santa”? Che rapporto c’è tra “fondamentalismo e islamismo? Che rapporto c’è tra terrorismo e islamismo?

Quali i valori che accomunano ebrei, cristiani e musulmani? È possibile, in nome di questi valori, superare diffidenze reciproche e costruire un dialogo costruttivo? È realistico pensare che tra i seguaci di Allàh e gli “occidentali” ci sia un reciproco rispetto senza prevaricazioni di sorta? È possibile costruire un punto di equilibrio, nei Paesi occidentali, tra l’esigenza dei musulmani di conservare la loro identità religiosa e culturale e l’esigenza di convivenza civile tra comunità che hanno diverse tradizioni? Fino a che punto è auspicabile l’“integrazione” e fino a che punto è preferibile la “distinzione”?

Sono questi alcuni dei temi del prossimo confronto del Caffè filosofico che si terrà lunedì 11 aprile alle ore 21 al Caffè Gallery di via Mazzini. Ospite illustre sarà al – Shàykh ‘abdu r – Rahmàn (il servo del Misericordioso) dott. Rosario Pasquini, imam di Milano.

Ecco una breve scheda.

Nasce a Fiume nel 1934. Frequenta il ginnasio liceo a Sondrio. Si laurea nel 1957 presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano. Dopo 18 mesi di servizio militare si congeda come sottotenente di complemento. Fino al 1972 esercita la professione di avvocato presso il Foro di Milano. Alla fine del ’72 si converte all’Islàm. È uno dei promotori del centro islamico di Milano nel 1877. Dal 1982 è direttore responsabile del periodico il Messaggero dell’Islàm che egli stesso ha fondato. Nel 1988 inaugura la Moschea del Sommamente Misericordioso, il primo luogo di culto islamico dotato di cupola e minareto in Italia. Nello stesso anno (anno egiziano 1408) è Pellegrino alla Mecca. Nel febbraio 1989 partecipa, come socio fondatore, alla costituzione dell’Ente di Gestione dei beni islamici in Italia. Nello stesso anno è il primo musulmano italiano (forse addirittura europeo, convertito all’Islàm) a tenere il sermone in lingua araba e in lingua italiana e a dirigere il rito di adorazione congregazionale del venerdì. Nel 1990 partecipa, come socio fondatore, alla costituzione dell’Unione delle Comunità e Organizzazione islamiche in Italia. Nel 1991 fonda la casa editrice “Edizioni del Càlamo” con la pubblicazione, a tutt’oggi, di 25 testi di dottrina islamica. Insegna arabo e dottrina islamica presso il Centro di Milano. Due sono i suoi motti distintivi: “L’Islàm è la via per la reale liberazione dell’uomo dal dominio dell’uomo”; “La bandiera dell’Islàm è: Nessuno, tranne Iddio, ha titolo per essere Signore dell’uomo”.

Lo “sceicco” esporrà la visione del mondo dell’Islàm quale è presentata dalla dottrina islamica e il codice di vita dell’Islàm costituito dal Verbo metafisico dell’Ente (materializzato nell’esistente nelle forme fonetiche e acustiche della lingua araba) e dall’insegnamento del profeta Muhàmmadi, come registrato dalle Tradizioni autentiche. Alla fine pronuncerà il dantesco “e questo fia suggel che ognuno sganni” a proposito di ciò che è oggettivamente l’Islàm.

L’intervento dell’imam dott. Pasquini – che avrà come titolo “L’Islàm superamento dell’occidente” – si colloca nel tema “Oltre l’occidente” che il Caffè filosofico ha scelto per l’anno in corso.

Ecco il passo finale di una delle sue numerose pubblicazioni: una risposta ai tanti interrogativi dell’Occidente.

“Lo sforzo per affermare il primato della parola di Allàh, proprio per il fatto di essere finalizzato a uno scopo nobile ed elevato, esclude per definizione, nel reticolo concettuale dell’Islàm, che esso possa esprimersi in forme ignobili e abbiette. Nell’ottica islamica, infatti, non c’è spazio per il principio “il fine giustifica i mezzi”, secondo il quale è lecito ogni mezzo, che sia utile al raggiungimento del fine, o in altre parole è il raggiungimento del fine che rende giusto il mezzo usato per conseguirlo. Lo sforzo (al-Gihàd) per essere rilevante ai fini della salvezza dal fuoco deve essere condotto secondo le regole dell’Islàm. Le regole dell’Islàm sono regole precise, che governano il comportamento dell’uomo in ogni sfera della sua azione nel mondo e, perciò, anche tutte quelle azioni per mezzo delle quali è lecito sforzarsi per il trionfo della Causa di Allàh. Non costituisce Gihàd ogni atto di terrorismo, di oppressione, di sopruso o di violenza, a prescindere dall’etichetta sbandierata dagli autori o appiccicata loro dai mass media, perché oppressione, sopruso o violenza non hanno spazio nel Codice di vita dell’Islàm e sono comportamenti vietati espressamente e con energia. Sono, quindi, oggettivamente, manipolazioni fraudolente della verità, perpetrate al fine di demonizzare l’Islàm e i Musulmani, diffondere diffidenza e paura, promuovere il razzismo xenofobo e fomentare odio di religione, i quotidiani collegamenti della parola Gihàd (tradotta impropriamente guerra santa), che è il punto più elevato dell’Islàm, con la violenza e il terrorismo. È doveroso sottolineare e affermare con forza il concetto: “Chi è musulmano non è terrorista e chi è terrorista non è musulmano”, e non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare. Terroristi ideologici e fomentatori di odio di religione sono, semmai, tutti coloro che associano nei loro discorsi l’idea di Islàm e quella di terrorismo, associazione di idee che ha la stessa caratura razionale del concetto portato dalla frase ‘cerchio triangolare’ o ‘triangolo circolare’.”

Dibattito

Data: 23.06.2013

Autore: Piero Carelli

Oggetto: UN DIALOGO DIFFICILE, MA OBBLIGATO

Una provocazione

Qualche tempo fa, presentando un libro sulla globalizzazione, ho lanciato una provocazione: perché non creare a Crema delle occasioni di incontro-confronto tra "cristiani" e "musulmani"? Bruciante era ancora il ricordo delle immagini apocalittiche dell’11 settembre e forte il turbamento che mi aveva provocato la lettura de La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci. Un turbamento ulteriormente alimentato dal consenso che tale libro aveva riscosso nell’opinione pubblica. Che fare per allontanare lo spettro di uno scontro di civiltà? Che fare per evitare che il mondo islamico demonizzato dall’Occidente, si compattasse a fianco della componente fondamentalista? Non vedevo altra possibilità che aprire il dialogo con i musulmani "moderati" nella convinzione, tra l’altro, che ciò che accomuna le due religioni è molto di più di ciò che le divide.

Gli scheletri nell’armadio

L’incontro con l’imam di Milano mi ha fatto ricredere? Non posso nascondere lo sconcerto che ho provato. Uno sconcerto scontato. Per noi, figli del "disincanto", non ci sono più dèi, non ci sono più assoluti, non vi è più alcun "Sole": gli dèi sono creature umane, le fedi sono credenze costruite per soddisfare un bisogno di senso, delle belle illusioni…

Già, ma non siamo sempre stati così. Le "verità assolute" del dott. Pasquini ci appaiono inquietanti, ma è un fatto che tale atteggiamento mentale ha caratterizzato un filone importante della storia del Cristianesimo.

Sento già un’obiezione: in questo modo non scivoli nella logica dello stesso imam che ci ha sbattuto in faccia con violenza (in modo "intemperante", scrive Luca) gli scheletri che abbiamo nell’armadio? Perché rievocare un passato che non c’è più? Perché non parlare della Chiesa cattolica di oggi che, in più occasioni, ha chiesto solennemente perdono per le colpe commesse? Siamo senza dubbio cambiati. Siamo cambiati perché abbiamo vissuto, negli ultimi secoli, dei terremoti culturali che il mondo islamico non ha per nulla conosciuto: il Rinascimento, il liberalismo, l’illuminismo… col loro carico di valori quali la tolleranza, la libertà di coscienza, la laicizzazione della cultura, la laicizzazione dello Stato… Valori che anche la Chiesa, obtorto collo e non senza molte resistenze, ha dovuto riconoscere.

La dittatura del relativismo

Valori definitivamente acquisiti? Noi crediamo di sì. Non possiamo, tuttavia, nascondere che il nuovo papa è il paladino della lotta contro la "dittatura del relativismo". Che cos’è che si vuole combattere? Il politeismo etico in nome di un’etica assoluta? Il pluralismo di visioni del mondo? Il pluralismo di fedi?

Quello che può fare la Chiesa è affermare i suoi valori ai "suoi fedeli", ai "suoi credenti". Nulla di più: non può, certo, presentare la sua fede come la "Verità" e condannare la falsità delle altre. In un’epoca in cui tutto è "fede" (anche la matematica, anche la scienza), come sarebbe possibile sbandierare una fede come la Verità assoluta?

La nostra… insofferenza

Ci ha fatto sorridere il tentativo dell’imam di fornire una prova matematica dell’esistenza di Allah. Non dobbiamo, però, dimenticare che fino a ieri (chi ha la mia età se lo ricorda), anche da noi, le dimostrazioni "logiche" dell’esistenza di Dio furoreggiavano. Certo, nella nostra storia noi abbiamo anche il "credo quia absurdum" (come ha ricordato bene Tiziano), un filone che, per fortuna, ha assunto sempre più peso. Per noi, figli di Tertulliano, di Pascal, di Kierkegaard… Dio, se esiste, è nascosto e non c’è prova razionale che tenga: la fede è un salto nel buio e non può essere venduta come la "Luce".

Ci ha fatto anche sorridere sentire che Dio ha parlato in arabo e che le preghiere vanno recitate nella lingua araba del Corano. "Ingenui"? Certamente, ma… per noi il "latino" è stato per secoli la lingua del sacro e oggi vi è chi – anche molto in alto – nutre nostalgia per il latino come lingua liturgica. Indubbiamente, noi abbiamo avuto i Valdesi, Lutero (lo stesso imperatore Giuseppe II d’Austria che ha imposto la messa in lingua tedesca) e… il concilio Vaticano II, ciò che i musulmani non hanno conosciuto.

Incongruenze

È il caso di individuare le incongruenze interne all’Islàm? Tiziano lo fa e in modo intelligente. Io credo che le incongruenze siano comuni alle religioni. Anche il Cristianesimo ne ha. Anche il Cattolicesimo. Sono incongruenze – le nostre - che da tempo non accendono più dibattiti. Gli stessi ecclesiastici hanno chiuso un occhio (o tutti e due?) sulla "protestantizzazione" strisciante in atto nel mondo cattolico (perfino tra gli ecclesiastici). La fede è sempre più presentata come "testimonianza", come "proposta di vita" e molto meno come adesione a degli astratti dogmi (che sono legati inevitabilmente alla cultura del tempo).

Ciò che ci accomuna

Ora, se guardiamo le due religioni sotto il profilo degli stili di vita che ci propongono (al di là di divergenze dogmatiche che, tra l’altro, non sono molte: anche il Cattolicesimo, ad esempio, sostiene la tesi secondo cui la fede - che è ciò che ci rende "giusti" di fronte a Dio – è un dono esclusivo di Dio), noi possiamo trovare molto in comune: in primis (l’abbiamo sentito più volte dall’imam) la dignità di ciascun uomo, il no al dominio dell’uomo sull’uomo. È su questo terreno che dobbiamo lavorare per trovare una base comune.

L’ottimismo della volontà

L’incontro con l’imam, in altre parole, non mi ha fatto cadere nelle braccia della Fallaci. No. Credo ancor di più nella inevitabilità del dialogo, tanto più in una fase storica in cui l’Occidente si trova a convivere con un crescente numero di musulmani. Concordo con Luca: oggi abbiamo di fronte una "popperiana società chiusa". Dobbiamo, però, andare oltre il pessimismo della ragione. La chiusura non paga: anzi, potrebbe provocare altri 11 settembre. Occorre, dunque, non solo rispettarci a vicenda, ma anche ascoltarci e – perché no? – costruire qualcosa insieme. Non è affatto vero, tra l’altro, che tutti i musulmani siano chiusi, impermeabili. Non è affatto vero che vi sia un’unica "interpretazione" del Corano (ha ragione Luca a parlare di un Islàm plurale). Non sono pochi i musulmani trapiantati in Occidente (che io conosco) che, a contatto con valori occidentali, dimostrano un’apertura assolutamente inattesa. Io non ho dubbi, poi, che la "maturazione" (dal nostro punto di vista) dei musulmani possa avvenire in tempi molto rapidi (molto più rapidi rispetto ai nostri tempi secolari) e, spero, senza le lacerazioni che abbiamo vissuto noi europei. Ad accelerarla potrebbe essere lo stesso processo di globalizzazione in corso. Non si tratta, tuttavia, di una maturazione obbligata: la globalizzazione potrebbe anche accelerare lo scontro (anzi, fino ad ora, sembra sia prevalso proprio questo). Tocca a noi favorire l’incontro. Una scelta difficile, ma obbligata. È mai possibile che non vi sia alternativa alla lettura violentemente manichea della Fallaci?

Data: 23.06.2013

Autore: Luca Lunardi

Oggetto: Un mondo “altro”

Sono portato a credere, in attesa del prossimo, che l’ultimo incontro al Caffè Filosofico sia stato contemporaneamente il punto più basso e quello più significativo della sua breve storia. Cercherò di argomentare questa presa di posizione.

Voglio scusarmi in anticipo se il presente intervento risulterà forse un po’ prolisso, e magari troppo “forte”. A mia parziale scusante vada il personale interesse, a tratti estremamente sentito, per il tema.

Sorvolerò sulle opinioni discutibili espresse tra le righe di un filo argomentativo altrettanto discutibile(1) . Tralasciando quindi i fronzoli – sebbene siano già compromettenti – vengo al dunque. Comincio con un’obiezione sulla forma. Il modo in cui le tesi sono state esposte ha secondo me due difetti. Il primo: suddette tesi spostano l’attenzione, in più punti, proprio sullo scontro, in barba ai richiami che cercano di scongiurare lo spettro dello scontro di civiltà. Non ho difficoltà a credere a Tiziano Guerini quando dice che la relazione udita lo aveva vagamente intimorito. La volontà apparente del relatore di affrontare la serata in modo distaccato e fraterno cozzava in un’esposizione a tratti intemperante, poco incline ad un vero confronto: questa è stata la mia sensazione, per tutta la serata. Il secondo punto è una critica generale alla strategia adottata, che è un’argomentazione retorica e non logica: il salto tra l’apoditticità geometrica e Dio costituisce uno iato ontologico ed epistemologico incolmabile, come prontamente rilevato. Questi sono già limiti evidenti che pongono l’ultimo incontro al Caffè su un piano inferiore alle passate esposizioni che abbiamo ascoltato.

Vengo ora ai contenuti. Durante il dibattito avevo cercato – in modo non persuasivo - di evidenziare quello che secondo me è il presupposto pericoloso di quel discorso, e che precluderebbe all’origine la possibilità di un rapporto fecondo tra Occidente e Islàm. Il relatore ha parlato di una religione che si può abbracciare a partire dalla scelta libera dell’uomo; ma ha altresì sottolineato che Allah comunque punirebbe chi non si dimostri capace di vedere il nuovissimo testamento: l’approdo finale, l’annuncio definitivo, la realtà immutabile che regola fin nei minimi dettagli l’esistenza umana, che fornisce contemporanemente una morale, un diritto, un’escatologia, prescrizioni per l’alimentazione, la vestizione, i rituali e altro ancora (peraltro svincolandosi da qualunque contestualizzazione storica). Se la fonte di tutto è Dio, le altre vie restano aprioristicamente deficienti, o peggio empie. Trascurando per un attimo il fatto che tutto ciò, già per il senso comune, costituirebbe un ostacolo ben difficilmente aggirabile per un secolarizzato occidentale, non posso allontanare la sensazione che tale professione di possesso della verità sia la premessa di qualunque ideologia (intesa come sistema intellettuale preconcetto ed immunizzato dalla critica). A scanso di equivoci, voglio subito sottolineare che non voglio porre un’equazione tra religione e ideologia: ciò sarebbe solo ridicolo. Tuttavia, non posso fare a meno di rilevare che il Dott. Pasquini di tutto ha parlato tranne che di una religione che voglia toccare lo spirito con dolcezza e persuasione, ma solo di un sistema che si pretende sintesi simil-hegeliana di precedenti momenti irrealizzati ed inferiori, tra l’altro mischiata ad elementi estranei alla stessa religione che si voleva esaltare. Mi hanno colpito i reiterati accenni al presunto sfruttamento operato da istituzioni appositamente inventate da certe classi per dominarne altre (una caricatura forse dei pesi e contrappesi che caratterizzano qualunque democrazia), attraverso tutta la storia dell’uomo: il tutto superato ed annullato solo dall’Islàm, che sarebbe dunque l’unica salvezza soprattutto per il misero Occidente immorale e prevaricatore. Si sostituisca qui Islàm con socialismo realizzato e si ha una inaspettata (involontaria?) analogia marxista-leninista, ottimo esempio di perdurante ideologia.

Un’ideologia ha a che fare con la pretesa di aver colto le Leggi ultime del mondo e dell’uomo, codificandole in modo da tagliare con l’accetta la buona umanità che le fa proprie dalla cattiva che le respinge, gettando in questo modo le basi del dominio dell’uomo sull’uomo - quello autentico. Il mondo di oggi non ha bisogno di ideologie: purtroppo non per tutti esse hanno gettato la maschera, che è quella di essere misticismi irrazionali che cercano il riscatto dalla limitatezza originaria di una sana ragione in schematismi che dispensano dall’onere della prova, e ritengono quella ragione un’indebita ribellione alla presunta luce che non si sa vedere (la luce è ora un fanatismo religioso, ora i dogmi della superiorità razziale, ora un materialismo dialettico Vera Legge del mondo incarnata dal Partito). L’uomo dovrebbe piuttosto prendere in mano il proprio destino, senza alienarlo a supposte autorità umane o divine che ne affievoliscano la responsabilità: il contrario di ciò che si è sforzato di argomentare il relatore, il quale ha asserito, in buona sostanza, che tutto ciò che non è materia coranica è arbitrio potenzialmente traviante.

Quando dissi che l’Islàm è plurale intendevo una cosa molto semplice: non tutti i musulmani condividono una concezione siffatta, per aprirsi, ad esempio, a conquiste più aperte nei confronti della libertà individuale, o comunque ad un confronto non pregiudiziale con sensibilità diverse (quindi molto più vicine all’Occidente); mentre altri – purtroppo – ne sostengono una perfino peggiore. In altre parole, non penso che quanto abbiamo sentito sia l’Islàm tout court (i wahabiti si ritengono i veri musulmani: gli altri che sono? Sunniti e sciiti si combattono: perchè, se l’Islàm è uno? I talebani sono uomini pii per milioni di pakistani: che ne pensa una musulmana turca che non porta il velo e calza le Nike? E coloro i quali non si vergognano a bere una buona birra?). Se non ci fossero altre voci oltre a quella che abbiamo sentito – e qui assumo una posizione abbastanza radicale – non sarei per niente ottimista nei confronti delle sfide veramente epocali che attendono le prossime generazioni. Io vedo, nel paradigma che ho cercato di esemplificare poco sopra, i tratti di una popperiana società chiusa: un involucro dogmatico che cerca con tutte le forze di impermeabilizzarsi nei confronti delle contaminazioni liberali che scardinerebbero il sistema totalizzante che lo caratterizza, fatto di regole e divieti, intrinsecamente oppressivo e potenzialmente violento e discriminatorio (almeno concettualmente). Mi rendo conto che ciò potrebbe sembrare a prima vista esagerato; non lo è certamente per quei movimenti che declinano la guerra santa in senso militare (ma non certamente difensivo e reattivo, anche se spacciato come tale), schiavizzano la donna e ritengono i non musulmani (nella loro accezione) indegni di vivere. Se è con questi che in primis dobbiamo fare i conti, l’Islàm che è davvero carità e amore dovrebbe svincolarsi da un certo tipo di pensiero e combattere a fianco dell’Occidente il suo primo nemico, che lo considera complessivamente apostata e traviato dalle spinte del satana “crociato-sionista”. Questa sfida (che è potenzialmente uno scontro di civiltà – o sarebbe meglio dire fra civiltà e barbarie?) rappresenterebbe secondo me il momento più significativo della domanda “Oltre l’Occidente?”. Una domanda che, a mio parere, esige risposte diverse da quelle udite.

Luca Lunardi


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(1) Mi riferisco alla Chiesa Cattolica “grande istituzione di dominio dell’uomo sull’uomo”; ad un grandissimo Papa ridotto a semplice mostro mediatico (accostato ai nomi di criminali assoluti); alla condizione “infima” della “donna occidentale”, implicitamente paragonata alla “donna musulmana” (ciò suona come puro e semplice ribaltamento della realtà); al pretestuoso e non pertinente ricorso alla statistica macabra delle vittime delle crociate (per le quali il “mostro” sopra citato ha chiesto, tra l’altro, perdono) e di altri massacri (l’Islàm si è espanso in modo invariabilmente pacifico?); alla “cosiddetta civiltà europea” [sic] che senza l’Islàm sarebbe solo un deserto vascello alla deriva privo di sapienza – senza nulla togliere al contributo dei commentatori arabi di Aristotele; alla battaglia di retroguardia per difendere un creazionismo puerilmente ascientifico (senza sapere che l’evoluzionismo darwiniano non confuta assolutamente Dio, nè forme di creazionismo “debole” – ma soprassediamo); alla sufficienza con cui si sono liquidate filosofie e scienze nate e sviluppate in ambiti culturali squisitamente occidentali e/o cristiani; alla “libertà di andare all’inferno” per l’uomo che non abbraccia la Verità (islamica). Delizioso paradosso, dichiaro di voler sorvolare su tutto ciò, e contemporaneamente ne discuto, in modo palesemente non neutrale... ma di paradossi parleremo in un’altra serata del Caffè.

(2) In questi mesi la liberale Olanda è l’archetipo di un tipo di Europa che si vergogna della sua identità (ma ne ha ancora una?). Un regista che ha osato trasporre in un’opera cinematografica la penosa condizione della donna in certe comunità musulmane è stato sgozzato ritualmente per mano di un uomo perfettamente “integrato” che crede in un sistema di (dis)valori totalmente altro da quello europeo (e americano). La sceneggiatrice del film, musulmana, viene minacciata di morte. L’Europa intera, temendo di urtare determinate sensibilità, mette al bando, di fatto, l’opera. Un nuovo spirito di Monaco?

Data: 23.06.2013

Autore: Tiziano Guerini

Oggetto: IN-SEGUENDO IL DOTTOR PASQUINI

Confesso che la relazione dell’Imam di Milano dott. Rosario Pasquini (grazie per aver accettato il nostro invito), mi ha lasciato qualche perplessità (e questo era prevedibile), ma anche un certo vago timore. Dato per scontato che i “convertiti” manifestano sempre un eccesso di zelo nel proporre le loro convinzioni religiose, pur tuttavia l’insistenza sul carattere (pseudo) “oggettivo” e sulla “unicità” (assoluta) della fede islamica, non solo non mi hanno convinto, ma mi hanno fatto sorgere un certo scetticismo rispetto alle pur reiterate affermazioni circa “la tolleranza”che l’Islam manifesterebbe nei confronti delle altre religioni (almeno di quelle monoteiste degli Ebrei e dei Cristiani, di cui oltretutto l’Islam è profondamente debitore).

Ho apprezzato la radicalità di alcune sconfessioni rispetto al terrorismo ed agli equivoci a proposito del concetto di “guerra santa”, ma forse (al di là della assoluta buona fede del relatore) non poteva essere altrimenti.

Del tutto condivisa l’affermazione secondo cui la cultura occidentale è grandemente debitrice nei confronti della cultura araba: dalla “mediazione” fra filosofia greca e filosofia Scolastica, al determinante contributo – del resto collegato con la mediazione che si è detto – nei confronti della scelta scientifica del XVII secolo, e, ancor di più, del conseguente risvolto tecnico.

Mi aspettavo, invece, l’indicazione più puntuale di una incidenza precisa della religiosità islamica nella attualità: ho avuto l’impressione – forse mi sbaglio – di una religiosità rituale molto più “inattuale”e ideologica, di quanto a volte non appaia la stessa religione cristiana, e cattolica in particolare.

Il fatto, poi, che la affermata “oggettività” della religiosità islamica (“geometricamente demonstrata”?) sia stata collegata alla figura “filosofico-rivelata” della creatio ex nihilo, mi ha fatto quasi rimpiangere il “credo quia absurdum” della Scolastica ( e credo abbia fatto saltare sulla sedia il buon Piero Carelli!). La “creatio ex nihilo” è infatti una delle espressioni più equivoche della filosofia cristiana (di derivazione giudaico-neoplatonica ); ed inoltre è presente, in un modo o in un altro, in tante altre religioni, compresa anzitutto quella cristiana, , per cui rimarrebbe sempre il problema di quale scegliere fra le tante …

Un’altra obiezione – sempre legata alla presunta “razionalità” della fede islamica – è legata alla domanda: “quale merito, se la propria fede è provata dalla ragione?”. La fede è necessariamente un “credere senza vedere” (“beato chi avrà creduto senza aver veduto”), altrimenti l’adesione è un atto dovuto, non un fatto voluto. Una conseguenza (fra le tante) sarebbe il venir meno del “premio” o del “castigo” (Inferno e Paradiso anche per l’Islam) e quindi di qualcosa di essenziale per la stessa religiosità islamica e non solo.

Si potrebbe obiettare che tutti questi ragionamenti sono propri di chi è imbevuto della cultura occidentale, dalla quale bisognerebbe uscire per comprendere le altre culture. Rispondo: la ragione è momento essenziale per ogni cultura che intenda definirsi tale; con l’irragionevolezza non si va da nessuna parte e soprattutto non si costruisce alcuna cultura! In secondo luogo – l’ho detto all’inizio - anch’io sottolineo il fatto che la cultura occidentale della modernità sia debitrice nei confronti della cultura araba (filosoficamente e scientificamente), per cui i due atteggiamenti culturali sono più simili di quanto si possa pensare ad un semplice approccio superficiale.

E questo è il punto principale a cui volevo arrivare.

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