LA GLOBALIZZAZIONE DELLA SOLIDARIETÀ (appunti), di Piero Carelli

08.04.2020 09:00

Mi limito a qualche appunto all'insegna del buon senso, almeno, secondo il mio modesto parere.

Di fronte a un virus che ha letteralmente sconvolto il mondo, ci siamo scoperti tutti fragili, tutti fragilmente accomunati dallo stesso destino.

D'incanto è crollato il nostro delirio di onnipotenza, il nostro rincorrere all'infinito Dio.

Tutti nudi. Tutti impotenti. Tutti sulla stessa barca, al di là delle razze, delle religioni, delle nazioni e dei continenti. 

Tutti "uomini" fragili.


Davvero nulla sarà come prima come recita uno slogan diffuso in questi giorni?

Non lo so. Io credo, comunque, che una lezione dovremo pur impararla dall'attuale tragedia: dopo esserci combattuti a lungo, da un lato con le armi, dall'altro con le armi della competitività a tutti i costi, non dovremmo imboccare la strada della "cooperazione" e della "condivisione"?

Non dovremmo unire le forze, le intelligenze, le competenze, le specializzazioni, in altre parole, rafforzare la "cooperazione internazionale", nella consapevolezza che nessuno potrà salvarsi da solo?


La globalizzazione - così credo - dovrà proseguire e addirittura intensificarsi, ma assumendo un volto nuovo: un volto non più caratterizzato dalla forza dirompente della "concorrenza", ma dalla "solidarietà". Sarà, in altre parole, la solidarietà ad essere globalizzata: la solidarietà degli "esseri umani" di fronte ai pericoli comuni.


Sono ben conscio che i miei appunti di buon senso stanno scivolando nell'utopia, ma come uscire dalle macerie, anche economiche (si stima che perderemo decine e decine di milioni di posti di lavoro nel mondo!), che avremo davanti nel day after, se non con il colpo d'ala dell'utopia, di qualcosa cioè che va oltre il paradigma dominante?

Come pensare che i singoli Paesi europei possano farcela senza un vigoroso rilancio di quella "casa comune" che da decenni abbiamo iniziato a costruire con la fatica della mediazione politica? Non è l'occasione unica - l'ora di una tragedia comune - per porre le fondamenta, finalmente, di un'Unione "politica" (di cui gli eurobond, cioè la condivisione del debito, potrebbero rappresentare il primo passo)?


Non vi è nulla di nuovo da inventare. C'è solo da sviluppare quella "cooperazione internazionale" che c'è già, almeno in nuce, nella ricerca scientifica (le stesse missioni spaziali non sono tutte imprese a cui cooperano più nazioni?), e in modo netto in tanti organismi internazionali quali l'OMS, il WTO e la stessa Unione europea. Tra l'altro, ciò che si sta realizzando in qualche misura in Italia, di fronte al flagello del virus, non è una sorta di "globalizzazione della solidarietà" con medici e sanitari provenienti dalla Cina, dalla Russia, dall'Albania, dall'Ucraina, da Cuba e dagli Usa...? Le stesse ONG come Medici senza frontiere ed Emergency, particolarmente attive nell'attuale emergenza, non sono modelli di "cooperazione internazionale"?


Un'obiezione scontata... ma non vi è il rischio, puntando sulla cooperazione, di spegnere quel motore che è la "libera concorrenza"?

Non si tratterebbe di spegnere la concorrenza, ma di trovare un sapiente punto di equilibrio tra cooperazione e concorrenza.

Dovremmo "cooperare" su tutto ciò che è "prioritario" per l'umanità: il diritto alla salute, in primis (e non solo di fronte a nuovi possibili pandemie) e, più in generale, il diritto alla vita, la stessa salvezza del pianeta e, di conseguenza, la salvezza dell'umanità.

 Questo significa potenziare la cooperazione internazionale in svariati ambiti:

 della ricerca (al fine anche di una scoperta più celere di un vaccino anti-virus);

 delle strutture e dispositivi sanitari idonei ad affrontare nuove emergenze (pensiamo all'ecatombe che ci sarebbe se il virus dovesse esplodere in Africa e agli effetti devastanti che avrebbe sulla stessa Europa);

 della raccolta dei finanziamenti ad hoc (li potremmo battezzare life-bond);

 di quella che è chiamata l'"agricoltura di precisione" (che fa leva sui Big Data) al fine di sconfiggere la fame;

 della lotta contro il riscaldamento globale e nella riconversione all'insegna della green economy di tutta la produzione e di tutti i mezzi di trasporto, una riconversione che non potrà che avere come effetto immediato la tutela del diritto alla salute.

Cooperare e "condividere", potenziando al massimo l'open source, condividendo tutto ciò che è know-how in quanto frutto della "cooperazione" con gli immensi effetti positivi che ne deriverebbero sul fronte, ad esempio, dei prezzi dei farmaci e quindi del "diritto alla vita".

Una cooperazione internazionale che potrebbe, tra l'altro, far risparmiare una massa ingente di risorse: non costituisce uno spreco gigantesco, ad esempio, il fatto che tutte le case automobilistiche debbano effettuare massicci investimenti sul medesimo progetto delle auto elettriche?



Non si tratta, ripeto, di partire da zero: perché il modello delle imprese spaziali non potrebbe essere replicato dalle case automobilistiche e dai colossi farmaceutici, tutti ambiti strettamente legati al "diritto alla vita"?


La strada da percorrere sarà lunga, ma non sarebbe irresponsabile - da parte di tutti, governi, parlamenti, organismi internazionali, singoli cittadini - uscire dall'emergenza tornando alla "normalità" di sempre, come se nulla fosse accaduto?

Non sarebbero irresponsabili i Paesi europei se dovessero continuare a ragionare con una logica "nazionale" di fronte a delle tempeste (l'attuale e quelle future: il pianeta è da tempo in rivolta contro l'uomo) che colpiscono tutti, indistintamente?

Il Covid-19 una lezione ce l'ha data e forte.

Sarebbe un suicidio non recepirla.

Sarebbe un suicidio rifiutarci di ascoltare il "grido dei poveri" e il "grido della terra".

No?


Piero Carelli